Corte di Cassazione (16706/2020) – Fallimento e insinuazione al passivo: irripetibilità delle somme versate alla fallita, allorché in bonis, e dalla stessa non restituite, di fatto erogate occultando un inammissibile illecito finanziamento.
Corte di Cassazione, Sez. I civ., 05 agosto 2020, n. 16706 – Pres. Francesco Antonio Genovese, Rel. Massimo Ferro.
Fallimento - Insinuazione al passivo di credito - G.D. – Rigetto della richiesta – Motivazione – Rinvio alle ragioni esposte dal curatore – Ammissibilità – Presupposto necessario.
Fallimento - Insinuazione al passivo- Somme versate al fallito allorché in bonis - Istanza di restituzione – Mancato accoglimento – Contratto sottacente la richiesta - Simulazione - Pagamento costituente nella realtà un illecito finanziamento - Irripetibilità.
Il decreto di rigetto della domanda di insinuazione al passivo che operi un rinvio "per relationem" alle motivazioni esposte dal curatore fallimentare nel progetto di cui all'art. 95 L.F. può ritenersi adeguatamente motivato a condizione che il richiamo sia univoco e che le contestazioni del curatore siano sufficientemente specifiche, in modo da garantire pienamente il diritto di difesa del creditore. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
In un contesto di ambigua negoziazione iniziale, tardiva qualificazione giuridica (in quanto formalizzata solo ex post) e finale innesto in una vicenda di aggravamento riprovevole del dissesto dell'impresa poi dichiarata fallita, non si può ritenere che rientrino nell’ambito delle figure di cui all'art. 182 quater L.F. (o dell'art.67, comma 3, lettera d), L.F.) o di altri negozi costituenti una forma di ammissibile e lecito finanziamento all'impresa in crisi anche da parte di soggetti diversi dagli istituti che esercitino professionalmente il credito, i contratti, non dotati di specifiche garanzie e nemmeno formulati per un'ipotesi di prededuzione, che, occultando un’illecita forma di finanziamento, abbiano portato ad ulteriore esposizione a rischio il patrimonio dell'imprenditore, secondo una progressività di vincoli per la società, via via confliggenti appunto con il primario dovere giuridico di non aggravare il già sussistente dissesto della stessa [nello specifico, la Corte ha ritenuto che giustamente il Tribunale in sede di opposizione allo stato passivo aveva respinto il ricorso proposto da una società avverso il decreto del G.D. che non aveva accolto la sua istanza di insinuazione di tre pagamenti dalla stessa effettuati alla fallita, allorché in bonis, in conto di future forniture, che quella avrebbe dovuto successivamente porre in essere a suo favore e che non aveva viceversa mai effettuato, in quanto ha confermato trattarsi nella realtà di una forma dissimulata di finanziamento, da ricompensarsi non con le previste successive forniture ma con corrispettivi “alieni”, quale l’acquisto del capitale del soggetto in realtà finanziato laddove tenuto in vita, come tale da considerarsi illecita perché configurante un’ipotesi di concorso in fatti di bancarotta semplice ex art. 217, comma 1, n. 4), L.F., e, comunque, un comportamento non suscettibile di ripetizione dell’indebito perché contrario, quale ipotesi di violazione della buona fede di cui all’art. 2035 c.c., ai principi dell’ordine pubblico, dato che quelle forniture non erano state neppure pattuite e i versamenti avevano, in dispregio delle regole del mercato e della concorrenza, ben altra finalità]. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/24182.pdf
[con riferimento alla prima massima, cfr. in questa rivista: Corte di Cassazione, Sez. VI civ. - 1, 09 ottobre 2018 n. 24794 https://www.unijuris.it/node/4513]