Corte di Cassazione (32534/2023) – Fallimento e reclamo avverso la determinazione del compenso spettante al legale della procedura: criterio cui attenersi nella composizione del collegio e principi da applicarsi in sede di quantificazione.
Corte di Cassazione, Sez. I civ., 23 novembre 2023, n. 32534 – Pres. Magda Cristiano, Rel. Giuseppe Dongiacomo.
Fallimento – Atti del giudice delegato – Determinazione del compenso spettante al legale della procedura – Proposizione del reclamo avverso tale decisione - Composizione del collegio – Esclusione necessaria del primo giudice e non del magistrato coordinatore – Fondamento – Incompatibilità da farsi eventualmente valere mediante istanza di ricusazione – Analogia con quanto avviene in sede di opposizione allo stato .
Fallimento – Legale della procedura – Mancata determinazione consensuale del compenso – Quantificazione da parte del G.D. - Reclamo al tribunale – Possibile disapplicazione della tariffa professionale – Limite - Principi da rispettarsi indefettibilmente.
L’art. 25, comma 2°, L.F., lì dove prevede che il giudice delegato non può far parte del collegio investito del reclamo proposto contro i suoi atti, non dispone affatto l’esclusione da tale collegio del magistrato che, in qualità di coordinatore della sezione, si è limitato ad apporvi la sua sottoscrizione in funzione, evidentemente, di mero controllo interno, senza tuttavia acquisirne in alcun modo la paternità giuridica, che spetta e resta esclusivamente in capo al giudice delegato che li ha pronunciati. La partecipazione al collegio di tale magistrato, pertanto, non dà luogo ad alcuna nullità deducibile in sede di impugnazione del decreto reso all’esito del reclamo, integrando, al più, in ragione della pronuncia (di positivo riscontro, evidentemente) resa dallo stesso, un’incompatibilità che dev’essere fatta valere mediante l’istanza di ricusazione, da proporsi nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c. Analogamente infatti, con riguardo all’incompatibilità del giudice delegato che ha pronunciato il decreto di esecutività dello stato passivo a far parte del collegio chiamato a decidere sulla conseguente opposizione, prevista dall’art. 99, comma 10°, L.F., la partecipazione del giudice delegato a tale collegio non determina una nullità deducibile in sede d’impugnazione della relativa pronuncia, posto che tale incompatibilità, salvi i casi di interesse proprio e diretto nella causa, può dar luogo soltanto all’esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l’onere di far valere, in caso di mancata astensione, nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
Ai fini della liquidazione giudiziale del compenso spettante all’avvocato nel rapporto col proprio cliente (ove ne sia mancata la determinazione consensuale), dopo le modifiche degli artt. 4, comma 1 e 12, comma 1, del d.m. n. 55/2014, apportate dal d.m. n. 37/2018: a) il giudice non può in nessun caso diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate; b) il compenso, inoltre, matura per la fase di studio della controversia in relazione alle attività previste dall’art. 5, lett. a), del d.m. n. 55/2014, vale a dire “l’esame e lo studio degli atti a seguito della consultazione con il cliente … la ricerca dei documenti e la conseguente relazione o parere, scritti oppure orali, al cliente, precedenti la costituzione in giudizio”, a prescindere, evidentemente, dal fatto che la singola controversia abbia questioni, in fatto o in diritto, comuni ad altra trattata dallo stesso avvocato per conto dello stesso cliente, posto che la percezione stessa della comunanza delle questioni tra le diverse controversie segue e non precede la fase di studio degli atti e la ricerca dei relativi documenti; c) il compenso relativo alla fase decisionale matura, poi, in ragione delle attività previste dall’art. 5, lett. d) del d.m. n. 55/2014, vale a dire, tra l’altro, “le precisazioni delle conclusioni e l’esame di quelle delle altre parti … la discussione orale, sia in camera di consiglio che in udienza pubblica, … l’esame … del provvedimento conclusivo…”; d) in tema di liquidazione dei compensi del difensore, infine, il valore della causa in cui siano cumulate domande di valore determinato e altre di valore indeterminabile (come nel caso specifico l’impugnazione di licenziamento illegittimo) dev’essere individuato con riferimento alla domanda (o al cumulo delle domande) di valore determinato sempre che ciò comporti il riconoscimento di un importo superiore a quello calcolato in relazione allo scaglione previsto per le cause di valore indeterminabile. [nello specifico, la Cassazione ha pertanto cassato con rinvio il decreto con il quale il tribunale aveva liquidato il compenso dovuto al ricorrente, legale che aveva prestato la propria assistenza a favore di un fallimento in tre diversi giudizi, senza attenersi ai principi suindicati, affermando di poter disapplicare la tariffa professionale quando, in relazione al caso concreto, risulti mancante di ragionevolezza o di proporzione]. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
[con riferimento alla prima massima, cfr. in questa rivista: Cassazione civile, Sez. I, 09 Novembre 2016, n. 22835 https://www.unijuris.it/node/3921].