Corte di Cassazione (16035/2018) - Responsabilità ex art. 146 L.F. dell'amministratore di una società fallita: modi e tempi della proposizione di un'eventuale impugnazione.
Corte di Cassazione, Sez. I civ., 8 giugno 2018 n. 16035 – Pres. Annamaria Ambrosio, Rel.Guido Mercolino.
Fallimento – Amministratore della società fallita - Tribunale - Dichiarazione di responsabilità Decisione fondata su violazioni di doveri diverse da quelle allegate - Vizio di ultrapetizione - Nullità rilevabile solo in grado d'appello – Deducibilità per la prima volta in Cassazione – Esclusione.
Fallimento – Amministratore della società fallita - Mancanza ai propri doveri – Causazione del dissesto – Responsabilità - Procedimento volto a dichiararla - Fatti volti ad escluderla – Intervenuti finanziamenti dei soci – Non obbligo di restituzione – Perdite ripianate – Comune volontà delle parti – Prova necessaria.
Non è deducibile per la prima volta in sede di legittimità il vizio di ultrapetizione in cui sia eventualmente incorso il tribunale, per aver fondato la dichiarazione di responsabilità ex art. 146 L.F. dell'amministratore di una società fallita su violazioni di doveri diverse da quelle allegate a sostegno della domanda dal curatore, non essendo rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ma traducendosi in una nullità della sentenza di primo grado, che, convertendosi in motivo d'impugnazione, avrebbe dovuto, ai sensi dell'art. 161, primo comma, c.p.c., essere fatta valere con l'atto d'appello. (Pierluigi Ferrini - Riproduzione riservata)
In assenza di una valida prova a riguardo della loro qualificazione giuridica, i finanziamenti effettuati dai soci per ripianare le perdite societarie, non possono essere addotti a sostegno del non essere stato il comportamento inerte e negligente dell'amministratore di una società di capitali, poi fallita, e la prosecuzione dell'attività a causare il dissesto, e non possono, pertanto, costituire motivo sufficiente ad escludere la responsabilità dell'amministratore per avere omesso, pur in presenza della perdita totale del capitale sociale, di attivarsi per la sua ricostruzione o lo scioglimento della società [ad avviso della Corte, stante che quei finanziamenti erano stati iscritti a bilancio quali "altri debiti", la loro reale natura, come volti a ripianare le perdite e senza obbligo di restituzione, si sarebbe potuta ricostruire solo laddove si fosse provato, la qual cosa non era avvenuta, quale fosse stata la comune volontà delle parti, come desumibile in via principale dal modo in cui il rapporto aveva trovato concreta attuazione, dalle finalità cui era diretto e dagli interessi allo stesso sottesi, in quanto, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, si poteva far ricorso, come avevano fatto i giudici del merito, alla qualificazione che i versamenti avevano ricevuto in bilancio]. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
http://www.fallimentiesocieta.it/sites/default/files/Cass.%20Civ.%2016035.2018_0.pdf