Corte di Cassazione (12455/2016) – Requisiti dimensionali ai fini della dichiarazione di fallimento: corretto riferimento per l’accertamento dell’attivo patrimoniale ai dati risultanti dal bilancio di esercizio.
Corte di Cassazione, Sez. I civ., 16 giugno 2016 n. 12455 – Pres. Forte, Rel. Ferro.
Fallimento – Assoggettabilità – Attivo patrimoniale – Superamento del limite di euro trecentomila – Dato desumibile dalla dichiarazione dei redditi – Riscontro insufficiente – Valore risultante dal bilancio di esercizio – Riferimento corretto – Appostazione anche dei ratei e riscontri attivi – Necessità.
Al fine del riscontro della fallibilità di una società, con riferimento in particolare al requisito di cui alla lettera a) del secondo comma dell’art. 1 L.F., ossia del superamento nei tre esercizi antecedenti il deposito dell’istanza di fallimento, o nel minor periodo di durata dell’attività, dell’importo di trecentomila euro di attivo patrimoniale, è corretto fare riferimento al dato desumibile dai bilanci d’esercizio e non solo a quello desumibile dalle dichiarazioni dei redditi, in quanto il riferimento alle risultanze del bilancio per individuare l'area della fallibilità deve ritenersi coerente con la funzione del bilancio stesso di documento rappresentativo, al termine di ciascun esercizio sociale, della situazione patrimoniale e finanziaria dell'impresa e del risultato economico della stessa, a tutela anche dei terzi in genere e dei creditori in particolare, i quali da tale documento possono agevolmente trarre dati certi (cfr. Corte di Cassazione n. 22146/2010 in questa rivista http://www.unijuris.it/node/1511) La Corte ha, pertanto, respinto il ricorso della fallita che considerava erroneo il dato desunto dal suo ultimo bilancio di esercizio, in ragione dell’appostazione contabile nell'attivo patrimoniale della somma corrispondente ad un costo, un maxicanone di locazione, sostenuto in quell’esercizio ma di competenza degli esercizi successivi, e del fatto che si sarebbe dovuto considerare che con il sequestro del complesso aziendale in cui veniva esercitata l’impresa, ogni prospettiva di continuazione dell’attività era venuta a mancare, si da precludere la ripartizione di quel costo tra più esercizi. Per la Corte, viceversa, in base ai principi contabili di cui all’art. 2424 c.c. era stato corretto ricomprendere sotto la voce “ratei e riscontri attivi”, nella quale devono appunto iscriversi tra l'altro, anche i costi sostenuti nell'esercizio che siano di competenza di esercizi successivi, in quanto eventuali fatti incompatibili con la prosecuzione dell’attività, in difetto di apertura della liquidazione, non possono assumere rilevanza ai fini della applicazione delle norme regolanti il bilancio stesso. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)