Tribunale di Prato - Responsabilità degli amministratori e quantificazione del danno. Redazione bilancio: criteri.
Tribunale Prato, 14 settembre 2012 - - Est. Raffaella Brogi.
Redazione del bilancio - Principi contabili nazionali (O.I.C.) ed internazionali (I.A.S.) - Funzione integrativa e di ausilio interpretativo della disciplina sul bilancio - Disapplicazione delle norme civilistiche - Disapplicazione fondata su criterio oggettivo tecnico contabile.
Redazione del bilancio - Divieto di compensazione tra partite di bilancio - principio di chiarezza - Principio di verità - Ininfluenza sul risultato del bilancio - Irrilevanza.
Redazione del bilancio - Valutazione dei crediti - Vicende del creditore - Irrilevanza - Anzianità del credito - Garanzie - Condotta pregressa del debitore.
Immobilizzazioni - Partecipazioni in società controllate o collegate - Perdita di valore durevole - Principio della prudenza - Criterio per la svalutazione della partecipazione.
Responsabilità degli amministratori - Quantificazione del danno - Criterio dei c.d. netti patrimoniali - Criterio della differenza tra attivo e passivo patrimoniale - Natura equitativa - Presupposti applicativi.
Responsabilità degli amministratori - Amministratori privi di deleghe - Irrilevanza.
Direzione e coordinamento di società - Responsabilità - Pubblicità - Risultanze nei confronti dei terzi - Presunzione della attività di direzione e coordinamento ex art. 2359 c.c. - Assenza di attività di direzione e coordinamento - Rilevanza del fattore soggettivo della conoscenza della mancanza di tale requisito in capo ai soggetti danneggiati.
Direzione e coordinamento di società - Responsabilità degli amministratori della società controllante - Responsabilità solidale - Responsabilità aquiliana - Requisito del dolo o della colpa - Necessità.
I principi contabili nazionali (O.I.C.) ed internazionali (I.A.S.) possono assolvere ad una funzione integrativa e di ausilio interpretativo della disciplina sul bilancio di cui agli artt. 2423 s.s. c.c., sia perché tale disciplina costituisce di per sé una rielaborazione di regole contabili elevate dal legislatore al rango di norme giuridiche, sia perché la c.d. clausola di salvaguardia di cui all'art. 2423, IV comma, c.c. consente di disapplicare la normativa civilistica nei casi (eccezionali) nei quali la sua applicazione conduca a fornire informazioni non veritiere e corrette. La disapplicazione della norma civilistica non può, tuttavia, avvenire sulla base di un criterio soggettivo proprio del solo redattore del bilancio, ma deve avere un fondamento oggettivo riconducibile all'applicazione di un criterio tecnico-contabile di natura oggettiva. Ne consegue che se le regole contabili, in casi eccezionali ed espressamente motivati, possono condurre alla disapplicazione della normativa civilistica, le stesse possono ben servire in funzione integrativa e di ausilio interpretativo delle norme di cui all'art. 2423 s.s. c.c.. (Raffaella Brogi) (riproduzione riservata)
La compensazione tra partite di bilancio (nella specie si trattava di portare i debiti verso le banche in detrazione verso i crediti nei confronti dei clienti) contrasta con il divieto di cui all'art. 2423 ter, ultimo comma, c.c., che è a sua volta un corollario del principio di chiarezza di cui all'art. 2423, II comma, c.c. A tal fine è irrilevante che la compensazione non determini alcuna alterazione del risultato del bilancio, dato che il principio di chiarezza non è subordinato al principio di verità (Cass. S.U. n. 27/2000). (Raffaella Brogi) (riproduzione riservata)
Con riferimento alla valutazione dei crediti di cui all'art. 2426 n. 8) c.c. la stima del presumibile valore di realizzo non può essere legata alle vicende (anche di natura concorsuale) del creditore, rilevando solo quelle che interessano il debitore. Devono essere pertanto prese in considerazione l'anzianità del credito, le garanzie dalle quali è assistito e la condotta pregressa del debitore in termini di solvibilità. (Nella specie la società fallita, al momento della presentazione del concordato preventivo aveva effettuato una svalutazione dei crediti pari all'87%, non giustificabile in base al passaggio da criteri di continuità aziendale a criteri di tipo liquidatorio. È stato pertanto affermato che tale svalutazione fosse riconducibile ad una stima errata dei crediti eseguita nei bilanci degli esercizi precedenti.) (Raffaella Brogi) (riproduzione riservata)
Per le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni nelle società controllate o collegate (art. 2426 n. 3) c.c.) la perdita di valore è durevole (con la conseguente necessita di iscrivere un apposito fondo di accantonamento per i rischi) qualora non possano essere rimosse in un breve arco di tempo le ragioni che l'hanno determinata. La brevità di tale termine deve essere fondata su previsioni non solo ragionevoli, ma basate altresì su elementi obiettivamente riscontrabili, anche in relazione alla plausibilità dei piani e dei programmi predisposti dalla società partecipata in perdita per il recupero economico. In base al principio di prudenza ed al tenore letterale dell'art. 2426 n. 3) c.c. la svalutazione della partecipazione non può essere ancorata al verificarsi delle situazioni di cui all'art. 2446-2447 c.c. in capo alla partecipata, posto che in tali ultime ipotesi la perdita è ben più che temuta, ma in mancanza di nuove liquidità immesse nella società, diventa definitiva, potendo addirittura comportare il probabile azzeramento del valore della partecipazione. (Raffaella Brogi) (riproduzione riservata)
Con riferimento alla quantificazione del danno il criterio dei c.d. netti patrimoniali (che individua l'ammontare del danno nella differenza tra il passivo in essere al momento del fallimento e quello in essere nel momento in cui la società avrebbe dovuto cessare la propria attività), così come il criterio che individua il danno risarcibile nella differenza tra attivo e passivo patrimoniale (usato nell'ipotesi di perdita delle scritture contabili), sono criteri di liquidazione di natura equitativa che ai sensi dell'art. 1226 c.c. possono essere usati solo nei casi nei quali non sia possibile provare il danno nel suo preciso ammontare. Tali criteri non possono quindi essere usati laddove sia invece possibile quantificare gli effetti pregiudizievoli conseguenti alle singole condotte di mala gestio degli amministratori. (Raffaella Brogi) (riproduzione riservata)
Gli amministratori non possono andare esenti da responsabilità per il solo fatto di essere privi di deleghe. Anche gli amministratori non delegati sono infatti destinatari dell'obbligo di diligenza di cui all'art. 2392 c.c. e, in particolare, dell'obbligo di agire informati ex art. 2381, VI comma, c.c. L'inesigibilità dell'adempimento di tale ultimo obbligo rileva non già in presenza di una mera difficultas praestandi (e quindi in una mera difficoltà di accedere all'informazione), ma solo in presenza di un'impossibilità totale di adempiere al proprio obbligo informativo, che richiede non solo il compimento di operazioni rischiose o imprudenti da parte dell'amministratore delegato, ma anche una condotta di quest'ultimo volta ad aggirare o ad impedire che l'amministratore non delegato ne venga a conoscenza. (Raffaella Brogi) (riproduzione riservata)
Nell'ipotesi in cui la stessa società controllante abbia tenuto un comportamento volto a confermare di fronte ai terzi le risultanze del sistema informativo predisposto dall'art. 2497 bis c.c. la prova contraria (di cui all'art. 2497 sexies c.c.) in ordine alla presunzione dell'attività di direzione e coordinamento nei confronti dei soggetti che esercitano il controllo di cui all'art. 2359 c.c. non può riguardare il solo fatto oggettivo dell'assenza di un'attività di direzione e coordinamento, ma anche il fatto soggettivo della conoscenza della mancanza di tale requisito in capo ai soggetti danneggiati ai sensi dell'art. 2497 c.c.. (Raffaella Brogi) (riproduzione riservata)
Gli amministratori della società controllante rispondono in solido con la stessa, in via aquiliana, per la lesione all'integrità del patrimonio della società controllata conseguente a condotte che costituiscono violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale nell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento alle quali abbiano preso parte o - sempre in via extracontrattuale - per aver concorso con gli amministratori della società controllata al depauperamento del suo patrimonio sociale. In entrambi i casi, considerato che lo schema di riferimento è quello aquiliano, non si può comunque prescindere da un contributo materiale e soggettivo (quanto meno colposo), senza che gli amministratori della società controllante possano rispondere per il solo fatto di appartenere al consiglio d'amministrazione di quest'ultima. (Raffaella Brogi) (riproduzione riservata)
Segnalazione del Prof. Avv. Bruno Inzitari
(Provvedimento, titolo e massima tratti dalla rivista on-line www.ilcaso.it - riproduzione riservata)
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