Trib. di Padova – Fallimento su istanza del P.M. – Revoca del fallimento – Transazione fra uno dei coobbligati e il creditore.
Tribunale di Padova, 08 febbraio 2011 - Pres., est. Caterina Santinello.
Il P.M. è legittimato a proporre istanza di fallimento ai sensi dell'art. 7, n. 2, LF, anche quando il procedimento civile di cui al suddetto articolo è un procedimento per la dichiarazione di fallimento conclusosi con decreto d'improcedibilità. (dott.ssa Irma Giovanna Antonini - Riproduzione riservata)
L'art. 7, n. 2, LF non richiede alcuna forma particolare per la segnalazione dello stato d'insolvenza, che pertanto ben può risultare implicitamente dagli atti del fascicolo trasmesso, spettando comunque al P.M. di effettuare le proprie valutazioni e decidere quindi autonomamente se inoltrare o meno l'istanza di fallimento, non essendo vincolato dalla predetta segnalazione. (dott.ssa Irma Giovanna Antonini - Riproduzione riservata)
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Cassazione (sent. n. 4632/2009), deve ritenersi legittimo che la segnalazione di cui all'art. 7, n. 2, LF provenga dal tribunale fallimentare. Infatti: a) non pare possibile parificare l'"iniziativa d'ufficio" alla "segnalazione" del P.M. nei casi in cui può essere rilevata l'esistenza dello stato d'insolvenza, dal momento che una volta effettuata la segnalazione è il P.M. che valuta la notizia pervenuta e decide autonomamente se ricorrono i presupposti per l'istanza di fallimento; b) non sussistono elementi testuali o sistematici per affermare che il procedimento fallimentare non è un procedimento civile; c) la legittimazione alla segnalazione da parte del giudice civile non può dipendere "dall'oggetto o dall'attività" dallo stesso svolta nel procedimento giudiziario, cosicché non può distinguersi il caso in cui lo stato d'insolvenza riguardi il "debitore" e quello in cui riguardi invece "soggetto diverso da quello destinatario dell'iniziativa per la dichiarazione di fallimento". (dott.ssa Irma Giovanna Antonini - Riproduzione riservata)
È onere dell'imprenditore commerciale dimostrare il possesso dei parametri di cui all'art. 1, comma 2, lett. a, b, c, LF per la non assoggettabilità al fallimento. Il superamento di anche uno solo dei predetti parametri è idoneo a realizzare il requisito soggettivo per l'assoggettabilità alla procedura concorsuale. (dott.ssa Irma Giovanna Antonini - Riproduzione riservata)
Il parametro di cui all'art. 1, comma 2, lett. c, LF, diversamente da quello di cui alle precedenti lettere a e b, non deve essere verificato in relazione ai tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento, ma è sufficiente e necessario che sussista alla predetta data. (dott.ssa Irma Giovanna Antonini - Riproduzione riservata)
In caso di dichiarazione di fallimento intervenuta nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal debitore ingiunto poi fallito, il curatore non è tenuto a riassumere il giudizio di opposizione, perché, se il creditore vuol far valere il titolo nei confronti del fallimento, deve accertare il proprio credito ai sensi dell'art. 52 LF, mediante la procedura di accertamento del passivo, non essendo il decreto ingiuntivo equiparabile alle sentenze non ancora passate in giudicato e non trovando, quindi, applicazione l'eccezione al principio dell'accertamento concorsuale dettata dall'art. 96 LF. Sussiste, invece, l'interesse del fallito, il quale perde la capacità processuale solo per i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, a riassumere il processo per evitare che gli effetti ex art. 653 c.p.c. si verifichino nei suoi confronti o gli possano essere opposti quando tornerà in bonis. (dott.ssa Irma Giovanna Antonini - Riproduzione riservata)
La revoca del fallimento, ancorché disposta per vizi processuali o per incompetenza del giudice, lascia salvi gli effetti prodotti dalle domande di ammissione al passivo sul decorso del termine di prescrizione dei relativi crediti, non rilevando in proposito il disposto dell'art. 21 LF, che si riferisce agli atti degli organi della procedura, non a quelli compiuti nei confronti di essa; né la revoca comporta l'estinzione della procedura fallimentare, con la conseguenza che trova applicazione la regola di cui all'art. 2945, comma 2, c.c., con la sospensione del corso della prescrizione, e non quella di cui al comma 3 del medesimo articolo, che fa salvo nel caso di estinzione del processo il solo effetto interruttivo prodotto dalla domanda giudiziale. (dott.ssa Irma Giovanna Antonini - Riproduzione riservata)
In caso di transazione fra uno dei coobbligati e il creditore, l'art. 1304, comma 1, c.c. si applica soltanto se la transazione abbia riguardato l'intero debito solidale, mentre, laddove l'oggetto del negozio transattivo sia limitato alla sola quota del debitore solidale stipulante, la norma resta inapplicabile, così che per effetto della transazione il debito solidale viene ridotto dell'importo corrispondente alla quota transatta, producendosi lo scioglimento del vincolo solidale fra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali di conseguenza rimangono obbligati nei limiti della loro quota; il pagamento della somma corrispondente alla quota transatta giova per l'effetto agli altri coobbligati e li libera nella misura pari al relativo importo ai sensi dell'art. 1292 c.c. (dott.ssa Irma Giovanna Antonini - Riproduzione riservata)
Quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice ai fini dell'applicazione dell'art. 5 LF deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto non è più richiesto che l'impresa in liquidazione, avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali ed alla distribuzione dell'eventuale residuo tra i soci, disponga di credito e di risorse necessari per soddisfare le obbligazioni contratte. (dott.ssa Irma Giovanna Antonini - Riproduzione riservata)
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