Corte d'Appello di Venezia – Concordato con continuità aziendale: previsione possibile della liquidazione atomistica di beni aziendali; controllo demandato all'attestatore e limiti della verifica da parte del giudice.
Corte d'Appello di Venezia, Sez. I civ., 28 settembre 2020 – Pres. Domenico Tagliatela, Cons. Rev. Federico Bressan, Cons. Caterina Passarelli.
Concordato con continuità - Prosecuzione dell'attività – Previsione della liquidazione atomistica di alcuni beni dell'impresa - Circostanza non idonea a far considerare il concordato liquidatorio - Irrilevanza della prevalenza dell'una o dell'altra previsione - Applicazione delle regole ex art. 186 bis L.F.
Concordato con continuità – Verifiche da eseguirsi dal professionista attestatore – Prosecuzione dell'attività aziendale - Prodursi di un surplus di valore – Assegnazione di una parte ai creditori – Presupposto sufficiente di validità della proposta.
Concordato preventivo - Contenuto della proposta - Giudice - Fattibililità economica del piano – Limite e ambito della verifica da effettuarsi – Decisione finale sul punto riservata ai creditori.
Concordato con continuità aziendale - Piano e proposta - Proventi ritratti dalla prosecuzione - Destinazione diretta ai creditori - Partecipazione dei creditori al rischio d'impresa - Previsioni non necessarie - Fondamento - Misure di protezione previste dal legislatore.
Il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica dei beni dell'impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell'attività aziendale si deve ritenere che, nonostante la previsione della dismissione di parte dei cespiti aziendali, rimanga comunque regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso, dall'art. 186 bis L.F., vale a dire dalla disciplina relativa al concordato con continuità, stante che il primo comma di detto articolo contempla anche una simile ipotesi fra quelle ricomprese nel suo ambito, mentre non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni a cui sia assegnata una diversa destinazione, ma solo una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività d'impresa e ad assicurare, attraverso una simile organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori. Il contesto normativo attuale non consente infatti di ipotizzare un novero di possibile forme di concordato (liquidatorio, in continuità, misto con prevalenza dell'una e dell'altra componente), ma individua, più semplicemente, un istituto di carattere generale, regolato dagli artt. 160 e ss. L.F. ed un'ipotesi speciale rispetto ad esso, prevista appunto dall'art. 186 bis L.F. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
Al professionista attestatore è, ai sensi dell'art. 186 bis, secondo comma, lettera b), richiesto di compiere una duplice verifica, rispettivamente sul piano e sulla proposta: che la continuazione aziendale generi valore rispetto alla liquidazione e che, secondo la proposta concretamente presentata del debitore, almeno una parte di tale valore venga messo a disposizione dei creditori; non viola infatti la disposizione predetta la proposta di concordato con continuità che non preveda la messa a disposizione dei creditori dei flussi rinvenienti dalla prosecuzione dell'attività aziendale (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
Non rientra nell'ambito della verifica della fattibilità di una proposta di concordato preventivo riservata al giudice un sindacato sull'aspetto pratico-economico della stessa e quindi sulla sua convenienza, in particolare non è richiesto che lo stesso accerti che garantisca una percentuale fissa minima di soddisfacimento dei creditori, ciò in quando trattasi di apprezzamento riservato ai creditori quali diretti interessati all'esito della procedura, onde il suo compito consiste essenzialmente nel verificare che la proposta sia idonea ad assicurare la soddisfazione, in una qualche misura, dei creditori e nell'escludere che dai dati di cui dispone emerga, in maniera eclatante, la manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
L'art. 186 bis L.F. non dispone quale elemento indefettibilmente caratterizzante il concordato con continuità aziendale che i proventi in qualsiasi modo ritratti dall'esercizio in continuità dell'attività d'impresa debbano essere, nella proposta e nella previsione del piano, direttamente destinati ai creditori, né che i creditori debbano necessariamente partecipare al rischio d'impresa e quindi all'alea derivante dalla prosecuzione dell'attività; ciò in quanto il legislatore ha inteso tendenzialmente escludere un tale azzardo prevedendo nel comma 2, lettere a) e b), e poi anche nei commi seguenti, una serie di misure di protezione volte appunto a prevenire l'aggravamento della situazione di crisi in danno dei creditori stessi. (Pierluigi Ferrini - Riproduzione riservata)
http://www.fallimentiesocieta.it/sites/default/files/Parte%20II.pdf
http://www.fallimentiesocieta.it/sites/default/files/Parte%20III.pdf
[con riferimento alla prima massima, cfr. in questa rivista: Corte di Cassazione, Sez. I civ., 15 gennaio 2020, n. 734https://www.unijuris.it/node/5016; con riferimento alla terza: Corte di Cassazione, Sez. I civ., 08 febbraio 2019 n. 3863https://www.unijuris.it/node/4575].