Corte di Cassazione (5299/2016) - Termine per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza resa dal tribunale in sede di opposizione allo stato passivo: attinenza ad ogni capo della decisione.
Corte di Cassazione, Sez. IV lavoro, 17 marzo 2016 n. 5299 – Pres. Pietro Venuti, Rel. Paola Ghinoy.
Fallimento - Opposizione allo stato passivo - Proposizione del ricorso per cassazione – Aspetti interessati dall’impugnazione – Capi attinenti alla formazione dello stato passivo – Capi intrinsecamente connessi – Eccezione di compensazione e domanda riconvenzionale - Termine di trenta giorni valido per tutti – Riproposizione della riconvenzionale davanti al giudice del lavoro – Irrilevanza.
In tema di opposizione allo stato passivo, il termine ridotto sancito per la proposizione del ricorso per cassazione, dall'art. 99, quinto comma, l.fall. (nel testo applicabile "ratione temporis", anteriore al d.lgs. n. 5 del 2006) riguarda sia i capi della sentenza di appello specificamente attinenti alla formazione dello stato passivo, sia quelli trattati nel giudizio di opposizione che vi sono connessi secondo una connessione intrinseca e non meramente estrinseca, senza che costituisca criterio decisivo il fatto che essi potessero o meno essere trattati anche fuori dal giudizio di opposizione al passivo (Massima ufficiale) [nello specifico, la Corte ha ritenuto che si vertesse in un caso di connessione intrinseca (artt.35 e 36 c.p.c.), ragion per cui il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso in cassazione (termine rimasto immutato dopo la novella legislativa) doveva ritenersi applicabile non solo alle disposizioni della sentenza di secondo grado che attenevano specificatamente all’opposizione allo stato passivo promosso da un dipendente della società fallita avverso il provvedimento di reiezione dell’istanza di ammissione al passivo ex art. 2751 bis n. 1 c.c. di suoi crediti retributivi, ma anche all’eccezione di compensazione e alla domanda riconvenzionale formulate dalla curatela nel corso di quel giudizio che inerivano al medesimo percorso logico-giuridico che determinava la quantificazione del credito da ammettere, ed ha precisato che non ostava a tale considerazione il fatto che quest’ultima domanda, volta ad ottenere il risarcimento dei danni causati dal dipendente alla società fallita, fosse stata riproposta dalla curatela davanti al giudice del lavoro avanti al quale lo stesso aveva impugnato il suo licenziamento, considerato che la riunione delle due cause non impediva che ciascuna seguisse la disciplina processuale sua propria, sicché il ricorrente non poteva pretendere che la decadenza dall’impugnazione fosse impedita dalla riproposizione della medesima domanda in altra sede]. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)