Corte di Cassazione – Insinuazione al passivo da parte del dipendente per retribuzioni e per contributi previdenziali non versati dal datore di lavoro.
Corte di Cassazione, Sez. I civ. 17 novembre 2016 n. 23426 – Pres. Bernabei, Rel. Di Marzio.
Ammissione al passivo - Credito - Dipendente - Legittimazione attiva - Retribuzione - Contributi previdenziali - Quota a carico del lavoratore.
Il credito retributivo del lavoratore, in attuazione del principio di integrità della retribuzione, va ammesso al passivo del fallimento del datore di lavoro al lordo della quota di contributi posta a carico del primo, poiché tale quota, in caso di mancato pagamento dei contributi entro il termine, rimane, ai sensi dell’art. 23 della L. n. 218/1952, definitivamente a carico del datore di lavoro. Ne consegue che il credito retributivo del lavoratore si estende automaticamente alla quota contributiva posta a suo carico e che pertanto andrà riconosciuto il privilegio previsto dall’art. 2751- bis C.c. sull’intero ammontare. D’altra parte il credito retributivo del lavoratore non può essere ammesso al passivo al lordo anche della quota posta a carico del datore di lavoro, poiché non è configurabile un diritto del lavoratore ad invocare in proprio favore l’adempimento dell’obbligazione contributiva, in quanto soggetto terzo rispetto ad un rapporto bilaterale tra datore di lavoro ed ente previdenziale. [Tommaso Bronzin – riproduzione riservata]
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[La sentenza cita il principio di diritto affermato dalla stessa Corte di Cassazione, secondo il quale “in caso di fallimento dell’azienda, il lavoratore, qualora il datore di lavoro non abbia pagato la retribuzione (o vi abbia provveduto in ritardo) ovvero non abbia effettuato i versamenti contributivi o, comunque, abbia operato ritenute non dovute, può chiedere direttamente – in via prudenziale o in caso di inerzia dell’Inps nell’esercizio dell’azione ex artt. 93 e 101 della legge fallimentare – l’ammissione al passivo, oltre che di quanto a lui spettante a titolo di retribuzione, anche della somma corrispondente alla quota dei contributi previdenziali posti a carico del medesimo [...], rispondendo tale soluzione al principio dell’integrità della retribuzione, che, altrimenti, resterebbe frustrata senza giustificazione causale alcuna, dovendosi escludere che il curatore, ove l’INPS non si sia insinuato al passivo, possa trattenere dette somme mediante accantonamenti in prevenzione, neppure previsti dalla normativa vigente. Ne consegue che, qualora non vi sia stata insinuazione al passivo da parte dell’INPS, il curatore – su cui incombe l’onere di coordinare le richieste avanzate dall’Istituto previdenziale con quelle del lavoratore – non può portare in detrazione le trattenute per contributi previdenziali, ma deve riconoscere al lavoratore la retribuzione lorda, salva la possibilità del successivo esercizio del diritto di rivalsa onde evitare il duplice pagamento del medesimo credito” (Cass. 27 maggio 2010, n. 12964).
Tuttavia la presente pronuncia, pur confermando che il credito retributivo del lavoratore va ammesso al passivo al lordo della quota contributiva posta a carico dello stesso, si discosta dal principio di diritto citato nel momento in cui lascia intendere che ciò avviene a prescindere dall’inerzia dell’Inps. La sentenza, richiamando il disposto dell’art. 23 della L. 218/1952, secondo il quale “il datore di lavoro che non provvede al pagamento dei contributi entro il termine stabilito o vi provvede in misura inferiore alla dovuta è tenuto al pagamento dei contributi e delle parti di contributo non versato tanto per la quota a proprio carico quanto per quella a carico dei lavoratori”, evidenzia infatti come lo stesso introduca un meccanismo sanzionatorio a carico dello datore di lavoro in forza del quale, in caso di mancata tempestiva corresponsione di detta quota contributiva, la stessa rimane “definitivamente a suo carico” e lascia pertanto intendere l’ammissibilità di quel duplice pagamento del medesimo credito, escluso dalla precedente pronuncia.] [Tommaso Bronzin – riproduzione riservata]