Corte di Cassazione (45434/2019) – Asta fallimentare: problematiche inerenti la configurabilità del reato di turbata libertà degli incanti, gli effetti della partecipazione di un agente con copertura, l'applicazione di misure cautelari.
Corte di Cassazione, Sez. VI pen., 03 ottobre 2019, n. 45434 - Pres. Angelo Capozzi, Rel. Maria Sivia Giorgi.
Reato di turbata libertà degli incanti - Asta fallimentare - Possibile configurazione anche in ambito fallimentare.
Asta fallimentare - Partecipazione di un agente provocatore - Intervento incompatibile - Reato impossibile - Esclusione - Reato di turbata libertà degli incanti - Configurazione possibile.
Imputato di reato - Pericolo di reiterazione - Giudice -Applicazione dimuna misura cautelare - Motivazione non necessaria.
Il reato di turbata libertà degli incanti di cui all'art 353 c.p. si deve considerare configurabile in ogni situazione in cui vi sia una procedura di gara e, pertanto, non solo nell'ambito civile-esecutivo ma anche nell'ambito di una procedura esecutiva per la vendita all'asta di beni ricompresi nel fallimento. (Pierluigi Ferrini - Riproduzione riservata)
Non costituisce motivo perchè si configuri un'ipotesi di reato impossibile con riferimento al delitto di turbata libertà degli incanti il fatto che un militare della Guardia di Finanza abbia partecipato all'asta quale agente "infiltrato" o "provocatore ", laddove lo stesso si sia limitato a manifestare l'intenzione di intervenirvi quale potenziale offerente, entrando in interlocuzione con gli imputati di quel reato che ne pretendevano la desistenza, ragion per cui l'azione criminosa non derivi esclusivamente dagli spunti e sollecitazioni dell'agente istigatore, ma costituisca invece [come nel caso di specie] l'effetto di autonomi stimoli ed elementi condizionanti. L'idoneità della condotta criminosa va, infatti, valutata oggettivamente con giudizio ex ante, nel suo valore assoluto e non in relazione con la simultanea azione dell' "infiltrato". (Pierluigi Ferrini - Riproduzione riservata).
La ritenuta sussitenza del pericolo di reiterazione di un reato, come prevista dall'art. 274, lettera c), c.p.p., esime il giudice dal dovere di motivare la ragione dell'applicazione nei confonti dell'imputato di una misura cautelare [nello specifico, della misura degli arresti domiciliari] e di spiegare perchè abbia previsto che, in caso di condanna, con la sentenza non si sareppe potuto concedere allo stesso imputato la sospensione condizionale della pena, così da escludere l'operatrività del disposto dell'art. 275, comma 2 bis, c.p.p.. (Pierluigi Ferrini - riproduzione riservata)
http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/22717.pdf