Corte d'Appello di Trieste – Consorzi cui la legge attribuisce natura di enti pubblici: non assoggettabilità a fallimento o ad accertamento dello stato di insolvenza ex artt. 195 e 202 L.F.. Decisione sulle spese.
Corte d'Appello di Trieste, Sez. II civ., 21 luglio 2016 - Pres. Da Rin, Est. Chiriacò.
Liquidazione coatta amministrativa- Consorzi con natura di enti pubblici – Accertamento dello stato di insolvenza- Inammissibilità - Artt. 195 e 202 L.F. – Medesimi presupposti sostanziali – Conseguenze negative non ipotizzabili.
Enti pubblici – Sottoposizione al diritto comune – Deroghe parziali – Disciplina, organizzazione e vicende diverse – Valutazione discrezionale del legislatore – Perseguimento di interessi pubblici – Soddisfacimento dei creditori – Operazioni di liquidazione – Controllo della P.A. – Trattamento penale differenziato.
Società partecipate da enti pubblici ed affidatarie di servizi pubblici essenziali – Non equiparazione agli enti pubblici – Attività svolta – Possibile identità - Qualificazione soggettiva - Diversità essenziale – Assoggettabilità a fallimento.
Rigetto dell’istanza di fallimento – Reclamo del P.M. ex art. 22 L.F. – Soccombenza - Spese del giudizio – Non assoggettabilità – Tutela di un pubblico interesse.
Non è fondementalmente contestabile, da un punto di vista strettamente letterale, che gli artt. 202 e 195 L.F. che contemplano l'accertamento giudiziario, rispettivamente successivo e preventivo, dello stato di insolvenza nei confronti di un'impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa, siano collegati, in ragione del rinvio operato dall' art.202, secondo comma, ai commi dal secondo al sesto dell'art. 195, ad identici presupposti sostanziali, nel senso che l'accertamento successivo dell’insolvenza sia ammissibile soltanto nei confronti di quegli enti per i quali sarebbe risultato ammissibile l'accertamento preventivo di tale stato, anche se in concreto non compiuto. Da ciò discende che sono esclusi dalla dichiarazione successiva di insolvenza gli enti pubblici in quanto eccettuati dalla disciplina complessiva recata dall'art. 195, seppure l'ultimo comma di tale disposizione non risulti incluso tra quelli oggetto del summenzionato richiamo. Da un punto di vista sostanziale, depongono nel senso dell’esenzione degli enti pubblici soggetti a liquidazione coatta amministrativa dall’accertamento dello stato di insolvenza, sia il fatto che la situazione di privilegio di cui gli stessi godono in ragione della loro sottrazione, ex art. 2221 c.c., al fallimento, risulterebbe in concreto vanificata qualora si ammettesse la possibilità di reintrodurlo surrettiziamente attraverso la successiva dichiarazione di insolvenza, sia la considerazione delle conseguenze negative a cui condurrebbe la possibilità di tale accertamento: dovere dell’amministrazione di aprire il procedimento di liquidazione e preclusione di ogni forma di revoca del provvedimento stante l’impossibilità di chiudere la liquidazione coatta in modi diversi da quelli stabiliti dalla legge per le procedure concorsuali (conforme Cass. Civ. n. 10008/1993). (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
Gli enti pubblici sono sottoposti al diritto comune, e cioè alle medesime norme applicabili ai soggetti privati, per quanto riguarda la disciplina degli atti e delle attività economiche da essi posti in essere, ma ne risultano sottratti per tutto ciò che riguarda la disciplina del soggetto, la sua organizzazione e le sue vicende; “le parziali deroghe al diritto comune di cui si è detto sono correlate ad una valutazione discrezionale del legislatore, per effetto della quale, in vista del perseguimento di preminenti interessi pubblici, il soddisfacimento delle pretese creditorie viene attuato mediante il controllo della pubblica amministrazione sulle operazioni di liquidazione e resta affidato ai provvedimenti che di volta in volta vengono adottati, mentre sul terreno penale si provvede ad un trattamento differenziato rispetto a quello correlato alla repressione penale dei reati fallimentari”- Cass. Civ. 10008/1993- (nello specifico la Corte del merito ha pertanto escluso il denunciato contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione) (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
“Non possono essere equiparate agli enti pubblici, ai fini dell’esenzioni dal fallimento, le società partecipate da enti pubblici ed affidatarie di servizi pubblici essenziali in quanto occorre distinguere nettamente il piano funzionale (l’attività svolta) dal piano soggettivo (la natura del soggetto), senza mai confondere i due piani in quanto l’interesse perseguito da una società commerciale partecipata non può incidere sulla sua qualificazione soggettiva - Cass. Civ. 22209/2013 - (nello specifico la Corte di merito, occupandosi di una questione diversa ma in qualche modo collegata, ha ribadito l’essenzialità di tale distinzione ed ha pertanto rigettato il reclamo ex art. 22 L.F. che era stato proposto dal P.M. avverso il rigetto dell’istanza di fallimento dalla stesso proposta ex art.7 L.F. nei conformi di un Consorzio che per la sua natura, in applicazione del principio stabilito dalla L. 70/1975 art. 4 che prevede l’attribuzione per legge di tale qualità, si doveva far rientrare a pieno titolo nell’ambito degli enti pubblici, in quanto tali esclusi dal fallimento ex art. 1 L.F.). (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
L’ufficio del P.M. non può essere condannato al pagamento delle spese di giudizio nell’ipotesi di soccombenza trattandosi di organo propulsore di attività giurisdizionale cui sono attribuiti poteri diversi da quelli svolti dalle parti meramente processuali ed esercitati per doveri d’ufficio e nell’interesse pubblico (conforme Cass. Civ. 19711/2015; 20652/2011 e S.U. 11191/2003). (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
Provvedimento segnalato dall’Avv. Francesco Paolo Mansi.
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