Corte d'Appello di Venezia - Reclamo ex art. 183 L.F. avverso l’omologazione di una domanda di concordato: accoglimento per riscontrata violazione del divieto di alterazione delle cause di prelazione.
Corte d'Appello di Venezia 12 maggio 2016 – Pres. Est. Di Francesco.
Concordato preventivo - Reclamo ex art. 183 L.F. – Ricorso ex art. 18 L.F. – Legittimazione attiva – Proponibilità da parte del solo soccombente – Proponibilità da parte di qualsiasi interessato – Decorrenza dei termini iniziali per l’impugnazione – Difformità - Notificazione o pubblicazione nel registro delle imprese – Conoscenza reale o presuntiva.
Concordato preventivo – Opposizione ex art. 180 L.F. – Decisione in camera di consiglio - Mancata notificazione al soccombente del decreto di rigetto - Reclamo ex art. 183 L.F. – Rispetto del termine di sei mesi ex art. 327 c.p.c. – Tempestività.
Concordato preventivo – Apporto di finanza esterna – Utilizzo in violazione dell’160, secondo comma., L.F. – Ammissibilità – Continuità aziendale indiretta con prospettiva liquidatoria – Ottenimento di un surplus – Alterità soggettiva – Irrilevanza – Mero incremento del patrimonio della debitrice – Necessario rispetto delle cause di prelazione.
Stante l’innegabile diversità di struttura, sotto il profilo della legittimazione ad impugnare, tra il reclamo ex art. 183 L.F. avverso il provvedimento di rigetto dell’opposizione all’omologazione della domanda di concordato (che può essere proposto solo dalla parte soccombente nel giudizio di cui all’art. 180 L.F.) ed il ricorso ex art. 18 L.F., avverso la sentenza dichiarativa di fallimento (che può essere proposto da qualunque interessato), non vi è alcuna necessità di ancorare il dies a quo del termine per l’impugnazione ex art. 183 L.F. ad una conoscenza legale presuntiva del decreto reclamabile, rappresentata dalla pubblicazione di questo nel registro delle imprese, in luogo di una reale attuale conoscenza, quale conseguenza della notifica allo stesso soccombente, ad istanza di parte, del provvedimento di rigetto. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
In base al consolidato orientamento della Suprema Corte, laddove il debitore concordatario non abbia provveduto a notificare all’opponente il decreto mediante il quale il tribunale, in camera di consiglio, ha respinto il di lui ricorso ex art. 180 L.F. avverso l’omologazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, deve considerarsi tempestivo il reclamo ex art. 183 L.F. che lo stesso soccombente abbia successivamente proposto oltre il termine breve di trenta giorni, purché lo abbia fatto comunque nel termine, di cui all’art. 327, primo comma, c.p.c., di sei mesi dalla pubblicazione della decisione, termine che la stessa Corte ha stabilmente ritenuto applicabile ai procedimenti in camera di consiglio ex artt. 173 e seg. c.p.c., nel cui ambito di applicazione si deve ritenere che rientri, appunto, anche il ricorso ex art. 183. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
Ai fini dell’ ammissione, ex art. 163 L.F., della proposta di concordato, l’apporto di finanza esterna può non essere allocato secondo il rispetto delle cause di prelazione, imposto dall’art. 160 secondo comma L.F., solo quando, da un lato, non confluisce e perciò non si confonde nel, e col, patrimonio del debitore, e dall’altro non provoca l’insorgere di un credito di regresso che determina un aggravamento della massa passiva (nello specifico, la Corte ha giudicato che non poteva trovare accoglimento, per la palese violazione del divieto di alterare le cause di prelazione, la domanda di omologazione di un concordato liquidatorio con prosecuzione indiretta, ex art. 186 bis L.F., dell’attività d’impresa, stante che il presupposto su cui si basava, cioè l’incremento di valore del patrimonio immobiliare determinato dalla temporanea prosecuzione dell’attività gestoria da parte di una società controllata e dal coinvolgimento di questa nella fase di negoziazione delle vendite, non risultava assimilabile ad un apporto di finanza esterna, apporto che avrebbe consentito di destinare l’intero ricavato dalla vendita dei beni immobili assistiti da privilegio ipotecario, anziché al soddisfacimento dei crediti muniti di cause di prelazione su detti cespiti, agli altri creditori privilegiati ed ai creditori chirografari, che, altrimenti, non avrebbero ricevuto alcunché; ciò in quanto l’alterità soggettiva della società controllata rispetto alla debitrice non rendeva, per ciò solo, il surplus, conseguibile attraverso la prosecuzione dell’attività, avulso dal patrimonio della debitrice stessa, patrimonio che restava la fonte dalla quale attingere le risorse da destinare ai creditori diversi dagli ipotecari). (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
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