Tribunale di Milano – Sovraindebitamento e applicabilità ad integrazione di quelle specifiche delle norme della l. fall., in particolare degli artt. 26 e 36 L.F. in caso di conflitti sorti in sede di liberazione degli immobili assoggettati alla procedura.
Tribunale Ordinario di Milano, Sez. II civ., 16 marzo 2022 – Giudice Alida Paluchowski.
Procedure di sovraindebitamento – Natura - Carattere concorsuale – Assenza di indicazioni regolamentari specialistiche – Possibile applicazione analogica delle disposizioni della legge fallimentare – Conversione dell'accordo con i creditori nella liquidazione dei beni – Estensione del principio di consecuzione – Conseguenze.
Procedure di sovraindebitamento – Rapporto con le procedure concorsuali – Medesima funzione – Liquidazione dei beni – Situazioni conflittuali – Utilizzo esclusivo del “foro fallimentare” - Atti o provvedimenti del liquidatore o del giudice delegato -Applicazione necessaria del sistema sancito dagli artt. 26 e 36 L.F.
Giudice che segue la procedura di sovraindebitamento – Liquidazione dei beni in particolare - Immobile assoggettato a procedura concorsuale che risulti occupato – Giudice delegato – Possibile emissione di un provvedimento immediato di liberazione- Impugnabilità solo col reclamo ex art. 26 L.F. - Ricorribilità in cassazione ex art. 111, settimo comma, Cost. - Esclusione – Ricorso viceversa possibile avverso il decreto del tribunale che decida il reclamo.
Le procedure di sovraindebitamento, inserite nel nostro ordinamento nel 2012 per coprire una lacuna evidente del sistema, sono indubitabilmente caratterizzate dalla concorsualità, e sono una costola del più complesso panorama delle procedure concorsuali nel quale si sono inserite e col quale necessariamente devono essere in sintonia. Ciò fa si che là dove manchino indicazioni esplicite specialistiche della normativa sul sovraindebitamento si applicano in analogia le disposizioni della legge fallimentare; così non vi è dubbio, in particolare, che, quando da una procedura di accordo si passi ad una liquidatoria, per legge vi sia una consecuzione fra le procedure che consente di ritenere non opponibili alla liquidazione del patrimonio le stesse situazioni giuridiche che non lo erano rispetto al precedente accordo di ristrutturazione offerto ai creditori dal sovraindebitato. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
Tutte le procedure di sovraindebitamento come tutte le procedure concorsuali hanno una medesima funzione in quanto tendono al superamento della crisi da sovraindebitamento o della crisi economica dell’imprenditore sia che essa sia reversibile, sia che si tratti di insolvenza irreversibile. In particolare, con riferimento alla procedura di liquidazione dei beni ex art. 14 ter della L. 3/2012, la possibilità di dolersi nei confronti dei provvedimenti e delle decisioni assunte dal liquidatore del patrimonio, così come poi, successivamente, nei confronti del giudice delegato che segue la procedura, è pertanto riconnessa esclusivamente alla utilizzazione del “foro endofallimentare” e del sistema sancito dagli articoli 26, secondo comma, e 36, primo comma, della legge fallimentare. Esso, sin dal 2006, è inteso quale contenitore neutro all’interno del quale possono rifluire tutte le situazioni conflittuali che l’autorità giudiziaria deve risolvere, e, nella legge del 2012, esso presiede quelle iniziali tra il debitore e l’organo di gestione della crisi e quelle successive tra il medesimo debitore ed il giudice che supervisiona la procedura. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
Al giudice delegato al fallimento, come al giudice che segue la procedura di sovraindebitamento, in particolare quella di liquidazione dei beni, è riconosciuta la possibilità di emettere, in vista della sua vendita e della sua successiva aggiudicazione, un provvedimento immediato di liberazione dell’immobile assoggettato a procedura concorsuale che risulti occupato, modellato sull’articolo 560 del codice di procedura civile, senza dovere preliminarmente passare dall’accertamento in sede contenziosa dell’esistenza o meno di un valido titolo in capo all’occupante che sia opponibile alla massa. Il provvedimento promanante dall’organo della procedura concorsuale rimane un decreto del giudice delegato, sebbene il suo contenuto sia strutturato sul modello di un tipico strumento del giudice dell’esecuzione e, come tale, deve essere, anche in sede di procedura di liquidazione del patrimonio, impugnato in sede fallimentare con gli strumenti tipici previsti per quella ipotesi in particolare, cioè il reclamo previsto dall’articolo 26 L.F.. Il provvedimento in oggetto non diviene, infatti, per il solo fatto di essere modellato su uno strumento proprio del giudice dell’esecuzione, un provvedimento del G.E., impugnabile con opposizione all’esecuzione dinanzi all’ufficio giudiziario individuato secondo i criteri e nei termini indicati dall’articolo 560 del codice di procedura civile. Né tanto meno quel provvedimento ha autonoma valenza decisoria e definitiva e quindi non è autonomamente impugnabile direttamente con ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 111 settimo comma della costituzione come affermato più volte dalla corte suprema. A sua volta, invece, il decreto del tribunale fallimentare che si pronunci in sede di reclamo sulla legittimità dell’ordine di liberazione emesso dal giudice delegato, in quanto provvedimento avente immediata e diretta ricaduta sul contrasto tra le ragioni dell’occupante e le opposte ragioni della procedura e dell’aggiudicatario, assume carattere decisorio e come tale risulta ricorribile per cassazione. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
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