Corte di Cassazione (9389/2020) – Bancarotta documentale: necessità della prova del dolo specifico in capo all’imputato accusato di aver distrutto e/o sottratto le scritture contabili. Durata della pena accessoria di cui all’art. 216, u.c., L.F.

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Data di riferimento: 
10/03/2020

Corte di Cassazione, Sez. V pen., 10 marzo 2020, n. 9389 – Pres. Eduardo De Gregorio, Rel. Renata Sessa.

Reato di bancarotta fraudolenta documentale – Imprenditore – Imputazione di distruzione e/o sottrazione delle scritture contabili – Necessaria ricorrenza del dolo specifico - Volontà di impedire la ricostruzione del patrimonio sociale - Scopo - Recare pregiudizio ai creditori o procurarsi un ingiusto profitto – Sussistenza - Condanna dell’imputato – Erogazione della pena accessoria prevista dall’art. 216, u.c., L.F. – Durata contenuta nel massimo di dieci anni.

Le due ipotesi previste, per la configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale, dall’art. 216, primo comma n.2), L.F. devono considerarsi tra loro autonome e alternative, nel senso che qualora venga contestata all’imprenditore la fisica sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari (anche eventualmente nella forma della loro omessa predisposizione), non può essere addebitata all'agente anche la fraudolenta tenuta delle medesime, ipotesi che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari, ed, altresì, nel senso che mentre per la prima è richiesto che ricorra l’elemento soggettivo del dolo specifico, consistente nella volontà, da parte dell’imputato, di impedire la ricostruzione del patrimonio sociale allo scopo di recare pregiudizio ai creditori e di procurarsi un ingiusto profitto, con riferimento alla seconda  è richiesto il solo dolo generico [nello specifico, la Suprema Corte ha cassato con rinvio per un nuovo esame la sentenza della Corte territoriale per avere la stessa, con riferimento alla prima di quelle ipotesi, data per acquisita la prova della ricorrenza del dolo specifico senza individuare ed esplicitare gli elementi necessari a dimostrarne l’effettiva ricorrenza, non senza aver precisato che, laddove la Corte d’Appello, verificatane la sussistenza, fosse giunta a confermare la responsabilità  dell’imputato, avrebbe comunque dovuto procedere alla modifica della pena accessoria come erogata nei suoi confronti ai sensi dell’art. 216, ultimo comma, L.F., comminando l’inabilitazione del colpevole all’esercizio di un’impresa commerciale o la sua l’interdizione all’esercizio di uffici direttivi presso qualsiasi impresa per una durata fino dieci anni, anziché per una durata di dieci anni come dal giudice di merito in precedenza disposto]. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)

http://www.fallimentiesocieta.it/sites/default/files/Cass.%20n.%209389.pdf

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Vedi anche nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: