Tribunale di Mantova – Concordato preventivo con continuità aziendale e scissione parziale della società in concordato.

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Data di riferimento: 
10/04/2014

Tribunale di Mantova, 10 aprile 2014, dott. Luciano Alfani – presidente, dott. Laura De Simone - giudice relatore, dott. Andrea Gibelli – giudice. 

Concordato preventivo con continuità aziendale ai sensi dell’art. 186 bis l.f. – Scissione parziale della società in concordato – Criteri per la formazione delle classi. 

Va qualificato come concordato con continuità aziendale, il procedimento nel quale, con l’assegnazione alla società beneficiaria, in sede di scissione parziale, del ramo d’azienda necessario alla prosecuzione dell’attività d’impresa è stata prospettata l’assunzione da parte sua della responsabilità per l’adempimento della proposta concordataria, che assicura ai creditori un risultato di gran lunga migliore di qualsiasi alternativa concretamente praticabile, considerato il valore del patrimonio netto da assegnare ed anche di quello residuo, da vendere al miglior offerente.

Non prevedendo lo strumento negoziale utilizzato un prezzo e nemmeno una diversa attribuzione corrispettiva dell’assegnazione del ramo d’azienda, detto giudizio è stato condotto, comparando la prospettiva concordataria con l’alternativa liquidatoria e, considerato il valore da assegnare agli assets aziendali da trasferire alla società beneficiaria, giudicando in concreto ammissibile una proposta, che non prevede la soddisfazione integrale di tutti i creditori muniti di privilegio, ma che assicura il pagamento integrale, non oltre un anno dalla omologazione del concordato, di tutti quei creditori privilegiati, per i quali è concretamente ipotizzabile il pagamento integrale anche in caso di liquidazione, nonché di tutti gli altri creditori in percentuali diverse tra loro. (Francesco Gabassi – Riproduzione riservata) 

Provvedimento segnalato dall’avv. Ciro Giuliano del Foro di Modena.

Nota di commento al provvedimento.

La scissione parziale come modalità esecutiva di una proposta di concordato preventivo con continuità aziendale (breve nota di commento a Tribunale Mantova, decr. 10 Aprile 2014) 

Il Legislatore ha previsto il concordato con continuità aziendale, ipotizzando sia la “prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore”, sia “la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione” (art. 186-bis, L. Fall.)

Nel primo caso, viene data allo stesso imprenditore la possibilità  di  uscire  dallo  stato  di  crisi,  pagando  solo  in  parte i propri  debiti  e  destinando  allo  scopo  solo  una  parte  del  suo patrimonio e del cash-flow generato dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, allo scopo di favorirne il rilancio. Alla massa dei creditori viene chiesto di consentire la conservazione in capo al proponente della proprietà di alcuni o anche di tutti gli assets aziendali nonché la destinazione dei flussi finanziari, generati dall’attività d’impresa, alla soddisfazione dei loro crediti solo per un tempo limitato e dopo aver soddisfatto le necessità correnti, laddove ciò possa consentire, sulla base di un giudizio prognostico ragionevolmente fondato, il mantenimento sul mercato di una impresa risanata. 

Nel secondo caso, viene data la possibilità all’imprenditore di  uscire dallo stato di crisi ed anche di evitare il fallimento per insolvenza conclamata, pagando solo in parte i propri debiti, ma con l’intervento di un terzo che, in cambio dell’azienda in esercizio, trasferisce, per così dire, ai creditori un corrispettivo in denaro ovvero quote di partecipazione al capitale della società, in cui l’azienda viene conferita. Alla massa dei creditori, in questa seconda ipotesi, viene chiesto di consentire la cessione al terzo ovvero il trasferimento alla società, preesistente o di nuova costituzione, della proprietà di alcuni o anche di tutti gli assets aziendali, destinando alla soddisfazione solo parziale dei loro crediti il prezzo della cessione d’azienda ovvero la partecipazione al capitale della società terza, indipendentemente dall’entità del reddito, che quella saprà generare in concreto  dall’esercizio  dell’attività  d’impresa.

Nella proposta di concordato, di cui al decreto del Tribunale di Mantova, per l’attuazione del concordato preventivo si ipotizza di utilizzare la scissione parziale di società con assegnazione a società preesistente, operazione straordinaria, cui fa espresso riferimento l’art. 160 L. Fall. e che, entro certi limiti, risulta equiparabile al concordato preventivo con conferimento di azienda in società preesistente. 

In entrambi i modelli di concordato il trasferimento  alla  società terza di una parte del patrimonio della società in procedura avviene mediante uno strumento negoziale diverso dalla cessione d’azienda, tipico contratto a prestazioni corrispettive; solo che, mentre nel concordato con conferimento in società al trasferimento dell’azienda si associa l’assegnazione ai creditori di una quota di partecipazione al capitale della stessa società terza, nel concordato con scissione al trasferimento del complesso di beni organizzato si associa esclusivamente l’assunzione di responsabilità da parte della  società

beneficiaria per i debiti della società in concordato, come ristrutturati. 

Ai sensi dell’art. 2506 c.c., che non preclude più la possibilità di scindere una società sottoposta a procedura concorsuale, è consentito assegnare ad una società anche preesistente una parte del patrimonio della società scissa e l’art. 2506-bis, 3° comma, c.c. prevede la responsabilità solidale della società beneficiaria per i debiti della società scissa nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto assegnato.

Nelle operazioni di scissione, dunque, non esiste un’attribuzione corrispettiva dell’assegnazione del patrimonio o di parte di esso alla società beneficiaria e la stessa responsabilità solidale - che può anche superare il limite di valore del netto patrimoniale assegnato, come nel caso che ci occupa - non è configurabile come elemento di uno scambio, che nemmeno esiste tra le società partecipi del progetto di scissione.

Nel concordato preventivo, che utilizzi la scissione di società come modalità di esecuzione della proposta concordataria, ai creditori viene chiesto di consentire il trasferimento alla società, preesistente o di nuova costituzione, della proprietà di alcuni o anche di tutti gli assets aziendali, assicurando la soddisfazione solo parziale dei loro crediti da parte della stessa società beneficiaria, che a ciò si obbliga con tutto il suo patrimonio, presente e futuro, indipendentemente dalla entità del reddito, che sarà capace di generare dall’esercizio dell’attività d’impresa.

Resta, però, da chiedersi, se anche ad un concordato con scissione di società  possa  ritenersi  applicabile  la disciplina di particolare favore, dettata dell’art. 186-bis. L. Fall. per il concordato con continuità aziendale.

Dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono applicabile la richiamata norma anche alle ipotesi di concordato preventivo, che prevedano l’intervento del terzo con modalità diverse da quelle espressamente previste dalla norma di riferimento, ponendo l’accento sul legame, che deve  necessariamente esistere tra soddisfazione dei creditori e continuità aziendale. Sul tipo di legame, però, che deve necessariamente sussistere tra miglior soddisfacimento dei creditori e prosecuzione dell’attività d’impresa, nonché sul significato da assegnare al termine “funzionale”, utilizzato dall’art. 186-bis, 2° comma, lettera b), L. Fall., i pareri  sono discordi. 

Certamente inadeguato si rivela il riferimento al corrispettivo della cessione al terzo anche solo in godimento dell’azienda in esercizio, che ha indotto parte della dottrina a qualificare come concordato con continuità aziendale, solo quello in cui il canone di affitto dell’azienda ovvero il prezzo di cessione non venga determinato in misura fissa, ma risulti variabile in ragione dei flussi e, così, dell’andamento futuro dell’attività d’impresa.

Così facendo, infatti, si finirebbe, per escludere dal novero dei concordati con continuità aziendale, anche quello che prevede il ricorso al conferimento di azienda in esercizio, tipizzato dal Legislatore, in cui alla soddisfazione dei creditori viene destinata solo una frazione del capitale nominale della società terza, cui l’azienda in esercizio viene conferita, e non il risultato dell’attività d’impresa, che la società, in cui l’azienda viene conferita, è legittimata a fare proprio e potrà incidere sul valore dell’attribuzione assegnata ai creditori, solo nella misura in cui sul valore di una partecipazione sociale incide l’andamento  dell’attività  d’impresa  esercitata  in  comune. Maggiormente in linea con la ratio legis sembra il riferimento alla prospettiva del proponente ed al ruolo che nel piano concordatario viene svolto dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, includendo nel novero dei concordati con continuità aziendale tutti quelli, in cui un “miglior soddisfacimento dei creditori” risulti concretamente ipotizzabile, solo ove si consenta  la  prosecuzione dell’attività d’impresa con le modalità previste nella  proposta  concordataria  (art. 186-bis, 2° comma, lett. b), L. Fall.).

Il concordato sottoposto al vaglio preliminare del Tribunale di Mantova è stato correttamente qualificato come concordato con continuità aziendale, in quanto con l’assegnazione alla società beneficiaria, in sede di scissione parziale, del ramo d’azienda necessario alla prosecuzione dell’attività d’impresa è stata prospettata l’assunzione da parte sua della responsabilità per l’adempimento della proposta concordataria, che assicura ai creditori un risultato di gran lunga migliore di qualsiasi alternativa concretamente praticabile, considerato il valore del patrimonio netto da assegnare ed anche di quello residuo, da vendere al miglior offerente.

Non prevedendo lo strumento negoziale utilizzato un prezzo e nemmeno una diversa attribuzione corrispettiva dell’assegnazione del ramo d’azienda, il giudizio è stato condotto, comparando la prospettiva concordataria con l’alternativa liquidatoria e, considerato il valore da assegnare agli assets aziendali da trasferire alla società beneficiaria, giudicando in concreto ammissibile una proposta, che non prevede la soddisfazione integrale di tutti i creditori muniti di privilegio, ma che assicura il pagamento integrale, non oltre un anno dalla omologazione del concordato, di tutti quei creditori privilegiati, per i quali è concretamente ipotizzabile il pagamento integrale anche in caso di liquidazione, nonché di tutti gli altri creditori in percentuali diverse tra loro.

            Nella prospettiva liquidatoria la prosecuzione dell’attività in capo alla società in concordato è stata giudicata irrealistica e, comunque, inidonea ad assicurare il “miglior soddisfacimento dei creditori” dal Professionista incaricato di redigere la Relazione, ex art. art. 160, 2° comma, L. Fall., tenuto conto delle necessità finanziarie e dei costi da sostenere nel breve periodo, sulla base di argomentazioni  logico - deduttive  verificabili.

Nella proposta di concordato esaminata dal Tribunale di Mantova  tra i vari meccanismi di favore previsti per il concordato con continuità aziendale, è stato utilizzato esclusivamente l’istituto della moratoria di un anno dalla omologazione per il pagamento  dei  creditori,  muniti  di  privilegio giudicato capiente.

Ai creditori privilegiati, che verrebbero certamente soddisfatti integralmente anche nella prospettiva liquidatoria, del resto, andrebbero riconosciuti anche gli interessi sulla dilazione di un anno, ove non si trattasse di un concordato con continuità aziendale, laddove, ai sensi dell’art. 186-bis, 2° comma, lett. c), L. Fall., deve ritenersi ammissibile il richiesto sacrificio finanziario, senza riconoscere loro nemmeno il diritto di voto.

Sulla maggiore dilazione, prevista per il pagamento dei creditori muniti di privilegio giudicato non capiente dal Professionista, che ha redatto la Relazione, ex art. 160, 2° comma, L. Fall., nulla, invece, andava, comunque, ipotizzato quanto ad interessi sulla dilazione, nemmeno ai fini del calcolo delle maggioranze, dal momento che non di sacrificio finanziario in tal caso si tratta, ma di una soluzione in grado di assicurare il parziale soddisfacimento di creditori, che nella prospettiva liquidatoria non vedrebbero realizzate nemmeno in minima parte le proprie legittime ragioni di credito.

I creditori, muniti di privilegio non capiente, di cui si prevede il pagamento non integrale, vengono ammessi al voto dal Tribunale di Mantova, giusta la disposizione di cui all’art. 177, 3° comma, L. Fall, per la quota non soddisfatta e ciò vale anche con riferimento al credito dell’Erario, che vedrà soddisfatta la quota-parte di credito, relativa a ritenute operate e non versate ed Imposta sul Valore Aggiunto, ma non anche per sanzioni ed interessi già maturati su quelle stesse ragioni di credito ed, in parte, anche già iscritte a ruolo.

Secondo il recente orientamento dello stesso Tribunale di Mantova, infatti, è corretto assegnare solo al creditore, munito di privilegio giudicato capiente, diritto di voto per la formazione del consenso, anche in relazione al valore da assegnare al pregiudizio finanziario derivante da una proposta di pagamento dilazionato in un termine maggiore della prospettiva liquidatoria e sempre che “la proposta prevede per questi creditori una soddisfazione, seppur di poco, addirittura superiore a quella che sarebbe realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione” (Trib. Mantova, decr. 4 giugno 2013). 

Nel    caso    che    ci    occupa,    viceversa,    sul    ricavato    in   caso   di liquidazione il credito dell’Erario per ritenute e per l’Imposta sul Valore Aggiunto non verrebbe soddisfatto nemmeno in minima parte, mentre di quei crediti la società beneficiaria della scissione si assume la responsabilità del relativo pagamento, solo per aderire all’orientamento giurisprudenziale, che considera il pagamento integrale come “una sorta di pre-condizione  all’ammissibilità  del  concordato”  (Trib. Monza, decr. 2 ottobre 2013 ed, in tal senso, ma con riferimento esclusivamente alla Imposta sul Valore Aggiunto, cfr. Cass. 4 novembre 2011, n. 22931). 

Quanto, infine, alla esclusione dal computo delle maggioranze del credito vantato dalla società beneficiaria della scissione, “atteso che nessun pagamento è prevista per la società inserita nella suddetta classe”  si può osservare che l’art. 160, 1° comma, lettera a), L. Fall., prevede che l’imprenditore può proporre “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma” ed alla lettera b) della medesima norma il Legislatore ha precisato che “possono costituirsi come assuntori anche i creditori” a favore dei quali è possibile prevedere “l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato”.  

Nella proposta di concordato, sottoposta al vaglio del Collegio mantovano, per l’attuazione del concordato preventivo si ipotizza di utilizzare la scissione parziale di società con assegnazione di una parte delle attività della società in concordato ad una società preesistente, la quale era già a sua volta creditrice della prima. A favore della società beneficiaria, che assumerà la responsabilità per i debiti della società in concordato, come ristrutturati, e, così, del puntuale ed esatto adempimento della sua proposta di concordato, è prevista l’attribuzione di una parte delle attività della società in concordato, mentre non è previsto alcun pagamento in denaro del suo credito preesistente. 

Vi è, però, che, l’assegnazione del complesso di beni, già riorganizzato per l’esercizio dell’attività d’impresa, che continuerà in capo alla società terza, benché collegato allo stipulando atto di scissione parziale, assume, comunque, natura satisfattiva del credito dalla medesima vantato nei confronti della società in concordato, così che, seppure in una  forma  diversa  dal  pagamento  in  denaro,  previsto  per  tutti  gli  altri  creditori,  sembra corretto affermare che anche la società beneficiaria della scissione vedrà soddisfatto  il  proprio  credito.  

Per effetto dell’atto di scissione e della conseguente assunzione di responsabilità per i debiti della società in concordato, oltretutto, il credito della società beneficiaria andrebbe, comunque, considerato estinto, ai sensi dell’art. 1253 c.c., che tra i modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento prevede, appunto, la confusione, che si verifica, quando nella stessa persona si riuniscono la qualità di debitore e creditore.  

Chiamandola a formare un’autonoma classe proprio la società beneficiaria della scissione, già creditrice della società in concordato, infine, risulta assicurata anche la corretta formazione del consenso nell’ambito della procedura concorsuale, coerentemente con quell’orientamento dottrinale e giurisprudenziale che ritiene necessario isolare, con la formazione di autonome classi di creditori, tutte quelle posizioni, che risultino avere un interesse diversamente qualificato alla sua approvazione. 

 La natura, la fonte e l’epoca, in cui è maturato quel credito, viceversa, non sembrano giustificare l’esclusione dal voto della società beneficiaria della scissione, che andrebbe certamente ammessa a partecipare al concorso con gli altri creditori nell’ambito di una qualsiasi altra procedura concorsuale ed a partecipare al voto anche in un ipotetico concordato fallimentare, non ricorrendo nessuna delle ipotesi, previste dagli  artt. 127, 5° comma e 177, 4° comma, L. Fall.,  di esclusione dal  voto e dal computo delle maggioranze.  

Al risultato di escludere la società beneficiaria della scissione dal voto per la formazione delle maggioranza nel concordato preventivo della società, della cui scissione parziale si tratta,  si perverrebbe solo ritenendo applicabile al concordato preventivo l’art. 127, 6° comma, L Fall., dettato in tema di concordato fallimentare, che esclude dal voto i ”crediti delle società controllanti e controllate o sottoposte a comune controllo”, visto che la compagine della società in concordato è la medesima di quella della società beneficiaria della scissione. 

Vi è, però, che secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito “la partecipazione al voto è la norma mentre l’esclusione è l’eccezione e deve essere espressamente prevista” ed il Legislatore ha scelto di non introdurre una norma generale sul conflitto d’interessi (Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274).

 

 

 

                                                                                  Avv. Ciro Giuliano

 

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[Questo provvedimento si riferisce alla Legge Fallimentare]